Raccolta degli articoli editi dallo studio su vari argomenti inerenti l’attività

Contratti derivati e usura

Contratti derivati e usura: che collegamenti ci sono?

I contratti derivati sono scommesse. In quanto tali, non implicano un finanziamento né ha senso logico ipotizzare che essi possano generare un’usura. In passato, però, si è spesso verificato il caso che il cliente si lamentasse con la sua banca di avergli venduto un contratto presentato come una sorta di assicurazione (per esempio contro il rialzo dei tassi di interesse), mentre invece esso si era rivelato una disastrosa fonte di perdite.

La Banca

Per calmare questi clienti, la banca (in realtà solo alcune banche specifiche) proponeva al cliente di chiudere il vecchio contratto e di stipularne uno nuovo, asseritamente più adatto alle sue esigenze. La banca minimizzava il fatto che il nuovo contratto era molto più svantaggioso del vecchio, così tanto svantaggioso che la banca indennizzava anticipatamente il suo cliente con un premio in denaro chiamato “up-front”. Questo up-front veniva dato dalla banca al cliente, ma veniva contemporaneamente trattenuto dalla banca, per indennizzarsi della chiusura anticipata del precedente contratto.

Il cliente non riusciva a comprendere questo avanti-indietro sul suo conto corrente e cadeva così dalla padella alla brace.

Una delle teorie che ho elaborato – grazie al suggerimento di un noto avvocato – è quella di ipotizzare che l’up-front sia un finanziamento e che i successivi pagamenti del cliente siano il rendimento di questo finanziamento.

Il calcolo

Spesso, il calcolo indica rendimenti a tassi usurari. È una teoria ambiziosa, perché la banca sicuramente risponderà che ciò che io considero rendimento, in realtà è un’alea. Non è così, perché anche quell’alea è quotata sulle Borse di Londra e Chicago e quindi la banca sa in anticipo quanto andrà a guadagnare e volendo può subito monetizzare il suo guadagno, cedendo il rischio in Borsa.

Non è importante il nome che la banca attribuisce al contratto, ma la sua essenza – che per la banca è quella di sborsare denaro per riaverne di più successivamente.

Per ora non ho esperienza diretta di sentenze a favore della mia tesi, ma solo di transazioni a saldo e stralcio, molto favorevoli per i miei clienti. Ho pubblicato su questo sito un mio lavoro su questo tema:

Consulenza tecnica contabile di parte su usura e derivati  

(La pubblicazione è situata in area riservata. Se non hai la password clicca qui)

Sequestro e confisca: chi amministra i beni?

L’amministratore giudiziario

Da sempre, numerosi reati prevedono il sequestro (provvisorio) e poi la confisca (definitiva) del corpo del reato. Il contrabbandiere preso con le mani nel sacco si vedrà confiscare le sigarette. Idem per l’autista molto ubriaco, che perde la proprietà dell’auto.

In questi casi, però, il bene confiscato è sempre strettamente legato al reato. Al contrabbandiere non viene di solito confiscata la casa, né all’ubriaco al volante viene confiscata un’auto diversa da quella che sta guidando.

Legge Rognoni – La Torre

A partire dal 1982, l’autorità giudiziaria ha visto crescere enormemente la possibilità di operare sequestri e confische. La Legge cosiddetta “Rognoni – La Torre” ha infatti previsto che il delinquente abituale, che non sia in grado di giustificare la provenienza della sua ricchezza, possa essere soggetto preventivamente a misure di sequestro e poi confisca del suo patrimonio.

Viene ribaltato l’onere della prova. Nel sequestro classico è il pubblico ministero che deve dimostrare che il singolo bene oggetto di sequestro è collegato al reato. Nel sequestro di prevenzione, è il “proposto” (così si chiama la persona che sta per subire il sequestro) che per difendersi deve dimostrare che il suo patrimonio ha provenienza lecita. E non solo: il proposto rischia di perdere TUTTO il suo patrimonio, non un solo bene.

La sezione “misure di prevenzione”

I reati che possono dare luogo al sequestro preventivo sono andati via via aumentando. Dai reati di mafia degli anni ’80, la legge è stata poi estesa ad altri settori, come la pedofila e il terrorismo.

In ogni Tribunale esiste una “sezione misure di prevenzione”, che valuta le richieste di sequestri presentate in stretto coordinamento dal pubblico ministero e dai corpi di polizia. Secondo il sito dell’ “Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata“, al 22 febbraio 2018 erano in gestione 2.919 aziende e 17.333 immobili. Oltre a ciò, erano già state “destinate” (ovvero cedute) 878 aziende e 13.146 immobili.

In un articolo del 27 settembre 2017, la Repubblica (http://www.repubblica.it/politica/2017/09/27/news/codice_antimafia_e_legge_camera_da_ok_con_259_si_e_107_no-176681613/) ha valutato in 30 miliardi di Euro il valore dei beni sotto sequestro.

Prima della confisca definitiva

In attesa della confisca definitiva, i beni provvisoriamente sequestrati vengono affidati in gestione ad un amministratore giudiziario nominato dal giudice del procedimento. L’amministratore viene scelto da un albo che tiene il Ministero della Giustizia, consultabile a questo indirizzo: https://amministratorigiudiziari.giustizia.it/pst/RAG/AlboPubblico.aspx.

Come potete vedere, Paolo Rivella è iscritto a questo elenco.

Appalti pubblici – Favoritismi inestricabili

Il 21 maggio ho pubblicato sulla mia pagina Facebook (https://it-it.facebook.com/StudioPaoloRivella/) un post sugli appalti pubblici. Lo ripropongo qui per chi fosse interessato.

Appalti pubblici? È tutto un pasticcio di favoritismi inestricabili!

Molte persone, anche di buon livello culturale, sono convinte che il mondo degli appalti pubblici sia una giungla.

Io stesso lo pensavo, fino a quando – pochi anni fa – ho ricevuto una serie di incarichi di consulenza, in collegio con una persona di grande esperienza nel settore. Ho così scoperto che l’Italia sta compiendo uno sforzo eccezionale per porre sotto controllo il settore degli appalti pubblici.

Per cominciare, le norme sono altrettanto severe e dettagliate di quelle fiscali (con relative complicazioni e a volte abnormità). Poi, soprattutto, esiste una sorte di anagrafe informatica nazionale dove tutte le stazioni appaltanti devono da subito registrare in dettaglio ciascun bando. Devono poi aggiornare i dati tutte le volte che c’è una modifica – dalla variante in corso d’opera fino alla più minuta operazione di routine, come il pagamento di uno stato avanzamento lavori.

Già oggi, Roma può sapere in ciascun momento l’ammontare su scala nazionale degli appalti in corso di realizzazione, in che percentuale sono stati realizzati, quanta parte è stata pagata e quanta è stata completata ma non ancora pagata, quali ulteriori spese si prevedono per portare a conclusione l’opera, il servizio o la fornitura.

Nel mio lavoro mi sono occupato di anomalie di funzionamento di questo meccanismo; d’altra parte, esso complica la vita delle amministrazioni pubbliche oneste e ne ritarda il lavoro. Ciononostante, esso è uno strumento potentissimo per individuare prontamente le anomalie e non ultimo per tenere sotto controllo quella parte di debito pubblico che un tempo era sommersa.

Questo è il sito dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC), a cui dal 2016 è passato il controllo degli appalti pubblici: http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/#reatiPA

I commercialisti e il ricorso al credito dei loro clienti

I commercialisti e COFIP

Ho scoperto COFIP, una giovane associazione ancora poco conosciuta, ma già fucina di idee nuove e coraggiose.
L’ho scoperto a Bardolino (VR), assistendo come spettatore al loro secondo congresso nazionale, che si è tenuto dal 16 al 18 marzo 2017.
In due parole, i fondatori di COFIP pensano che in un futuro più vicino di quello che pensiamo, i piccoli imprenditori cercheranno credito alla stessa maniera con cui oggi tutti noi cerchiamo un hotel in una città sconosciuta – via Internet.
Sempre secondo loro, le banche non vedono l’ora di disfarsi progressivamente delle migliaia di addetti ai fidi oggi presenti nelle singole agenzie. Gente che costa cara e che impiega numerose settimane (anche se non per colpa loro) a caricare bilanci, a trascrivere dichiarazioni dei redditi, a fare visure al Registro Imprese, alla Centrale dei Rischi presso Banca d’Italia e presso le sempre più numerose e cangianti banche dati private.

Il Consulente Finanziario Professionista

All’incrocio tra queste due tendenze, COFIP vede la figura del Consulente Finanziario Professionista, un libero professionista (tipicamente un commercialista) che carica i dati dell’aspirante al credito su un portale che COFIP ha già realizzato. Il portale prevede procedure standardizzate e al termine produce un rapporto che non è diverso da quello che le banche ora producono al proprio interno. Questo rapporto (con opportuni aggiustamenti per garantire livelli diversi di anonimato) è messo a disposizione non di una banca ma di numerose di banche, che possono così scegliere i clienti a cui prestare denaro, secondo il profilo di rischiosità, di area geografica, di settore merceologico, di taglio quantitativo che più preferiscono.

Mercato telematico del credito

L’idea è quella di creare un mercato telematico del credito che riduca i costi e i tempi di erogazione, che aumenti la trasparenza e che in definitiva renda più efficiente il sistema del credito. I vantaggi per entrambe le parti sono evidenti.
Per ora hanno aderito alla piattaforma tre banche medie (tra 500 e 1.500 sportelli ciascuna) e una grande (più di 2.000 sportelli). I Consulenti Finanziari Professionisti accreditati da COFIP (che è iscritta all’Albo del Ministero dello Sviluppo Economico, tra le associazioni autorizzate a rilasciare attestati di qualità) sono invece poche centinaia. Molti di più sono quelli che si stanno frequentando i vari moduli formativi che conducono all’accreditamento.

I vantaggi

Quell’imprenditore che ha la fortuna di utilizzare un commercialista che sia al contempo un Consulente Finanziario Professionista, può godere già da subito di vantaggi, anche senza cambiare la sua banca di riferimento. Quanti sono, per esempio, i commercialisti che suggeriscono ai clienti di tenere aggiornato il loro certificato della Centrale dei Rischi presso Banca d’Italia? E quanti riescono ad accedere a quella Centrale dei Bilanci (con relativi indici e statistiche) che usano le banche per verificare i loro clienti? Dietro a questi due documenti c’è tutto un mondo, che pochi commercialisti conoscono ma che è cruciale per accedere a nuovi finanziamenti e addirittura per mantenere quelli in corso. Anche solo la correzione degli errori (della banca e/o del cliente), prima che diventino bloccanti, è un’attività fondamentale.
Sapevo tutto questo, ma non mi attendevo la vitalità, la raffinatezza informatica, la complementarietà delle competenze e non ultimo lo spirito collaborativo (la “sharing economy”) che ho visto a Bardolino al convegno di COFIP .
Soprattutto, ho scoperto che sotto le ceneri di un sistema finanziario mai come oggi così sconfitto al proprio interno e malvisto all’esterno, stanno covano energie nuove e sorprendenti.

Presenza on-line

In Italia c’è un sito (www.BorsadelCredito.it) che è in grado di finanziare aziende in due giorni. Ce n’è un altro (www.prestiamoci.it) che svolge più o meno la stessa funzione, ma rivolto alle famiglie e non alle imprese. Un terzo (www.workinvoice.it) sconta le fatture tra società di capitali, quando il destinatario fattura almeno 10 milioni di Euro.
Più o meno tutte queste realtà – a quanto ho capito – agiscono come “brokers” e non come “principals”. Prestano però grande attenzione a selezionare e frazionare il rischio che corre l’altra metà dei loro clienti, ovvero quelli che danno a prestito i capitali.
Ho ascoltato e a volte parlato con gli esponenti di quelle iniziative che più delle altre attiravano la mia attenzione. Al convegno, però, sono intervenute numerose altre imprese di settori molto diversi, tutte accomunate dalla freschezza della loro analisi e dalla novità del loro progetto: SIM, giovani società di consulenza strategica, banche (sì, anche qualche banca! E con rappresentanti non meno lucidi degli altri; sorprendente!), società informatiche che lavorano nell’intelligenza artificiale, incubatori di imprese.
Pensavo che la disintermediazione finanziaria fosse un concetto astratto, che al massimo faceva capolino in realtà molto lontane da noi. Ho scoperto che non è così.

Per una volta, respirare l’atmosfera di questa novità è stato un piacere.

Falso in bilancio e bancarotta documentale

Esaminando un caso di rinvio a giudizio penale per falso in bilancio (seguito dal fallimento) e per bancarotta documentale, mi sono reso conto che vi è poca documentazione sulle differenze tecnico-contabili tra questi due reati.

Nella sezione “Pubblicazioni” offro un piccolo contributo per rimediarvi.

L’usura nei contratti di mutuo

Ma nei contratti di mutuo può verificarsi il reato di usura da parte delle banche?

Quando pensiamo ai “poteri forti”, vengono subito in mente le banche.

Ma ultimamente, nonostante questa “forza”, il sistema bancario italiano sta incassando una serie di sconfitte giudiziarie molto gravi, che aprono la porta a una grande massa di richieste di risarcimento. Dopo una serie di pronunce favorevoli ai correntisti bancari (vedi Anatocismo, boom di ricorsi, nuove imprese) all’inizio del 2013 la Corte di Cassazione si è interessata ai contratti di mutuo ipotecario, che riguardano milioni di privati cittadini.

La sentenza n.350 – 9 gennaio 2013

Con la sentenza n. 350 del 9 gennaio 2013 la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della Legge sull’Usura, il conteggio degli interessi effettivi pattuiti tra banca e mutuatario deve comprendere gli interessi di mora anche se poi questi non vengono applicati, tipicamente perché il cliente paga puntualmente le rate. Questo sulla base del testo letterale della Legge, secondo cui: “… si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento“.

Aggiungendo al tasso ordinario anche il tasso di mora, quasi tutti i contratti di mutuo finiscono di superare il tasso soglia dell’usura, addirittura già al momento della stipula del contratto.

Questo significa che – una volta accertata la natura usuraria del mutuo – il mutuatario avrebbe diritto di ottenere la restituzione di tutti gli interessi pagati in passato. E non solo: in teoria potrebbe continuare a restituire a rate il capitale alla banca, senza più pagare interessi. Se il contratto di mutuo usurario diventa nullo, non è escluso che il contraente possa ottenere – a suo favore – gli interessi sugli interessi non dovuti pagati in passato e forse anche la restituzione delle spese iniziali di erogazione versate.

Per il sistema bancario, sarebbe una rovina.

È difficile credere che davvero si offra questa possibilità a così tanti mutuatari e per importi singoli così elevati.

Il video “Le Iene”

Una conferma indiretta viene da un video. Si tratta di un documento sorprendente: “Le Iene” entrano nella torre d’avorio della Banca d’Italia.

È raro vedere un direttore centrale della banca rispondere in dettaglio alle domande di un giornalista non specializzato. È ancora più raro vedere cosa succede al minuto 8 e 30 secondi: l’intervista viene forzatamente terminata per non entrare nel merito di cosa succede quando il mutuo viene riconosciuto usurario. Il direttore centrale della Banca d’Italia inizialmente dice che la banca deve restituire solo gli interessi che superano il tasso usurario. Il giornalista gli mostra documenti che indicano il contrario: la banca deve restituire tutti gli interessi. A questo punto l’intervista viene interrotta dall’addetto stampa.

Onore al merito: i miei complimenti al giornalista, che è riuscito a rendere comprensibile un argomento altrimenti riservato ai soli esperti e ha dimostrato quanto il problema sia grande e delicato per il sistema bancario.

Processo Eternit e la morte di De Cartier

Nella notte del 20 maggio 2013, all’età di 91 anni, è morto il barone Louis De Cartier De Marchienne, uno dei due imputati del processo Eternit.
Insieme a Stephan Schmidheiny era sotto accusa nel secondo grado di giudizio, il processo d’appello, che si è concluso il 3 giugno.
Nel primo procedimento era stato condannato a 16 anni per disastro ambientale doloso, vedi sentenza Eternit .
Nel procedimento di secondo grado la Corte ha deciso di non procedere per sopravvenuta morte.

Chi era Louis De Cartier De Marchienne?

Attraverso le parole dell’avvocato Zaccone, durante l’udienza del 10 ottobre 2010, ricordiamo qualche dato sulla vita del barone belga.
Louis De Cartier De Marchienne nasce nel 1921 a Turnhout, una piccola città vicina a Anversa, conosciuta per essere sede di aziende legate alla carta, alla stampa e alla grafica sin dal 1795.
Nel 1940 De Cartier, studente di filosofia e attivo nella resistenza viene catturato e imprigionato dai tedeschi.
Viene trasferito a Sachsenhausen, un campo di concentramento tedesco al confine con la Polonia dove venivano richiusi i prigionieri politici e dove, sottoposti a lavori forzati, lavoravano alla contraffazione di valuta britannica e statunitense e alla produzione di aeromobili.
Dopo qualche tempo riesce a fuggire, tenta la strada verso l’est, viene catturato dai russi e arruolato con la forza in un battaglione disciplinare dell’armata rossa. Diventa tenente e partecipa alla liberazione di Berlino il 5 maggio del 1945.
Fugge nuovamente e entra nella zona britannica dove riesce faticosamente a convincere gli inglesi di non essere un disertore russo, ma un prigioniero belga.
Dopo 6 anni di guerra e prigionia, creduto morto da tutti, finalmente rientra in Belgio e inizia immediatamente a lavorare nell’azienda di famiglia, la Brepols, antica industria tipografica, attiva dal 1795 e specializzata in pubblicazioni storico-antropologiche. L’azienda ha quattro stabilimenti e un’altra società chiamata Carta Mundi, leader mondiale nel settore delle carte da gioco.
Dopo un anno a New York rientra in patria e inizia una veloce ascesa che lo porta a diventare presidente del consiglio di amministrazione della Brepols nel 1971.
Nel 1950 sposa la figlia di Andrè Emsens, presidente del gruppo Eternit belga, e continua ad occuparsi di Brepols e Carta Mundi fino al 1966.
Nel 1966 diventa necessario trovare un sostituto alla guida del gruppo Eternit belga, CFE (Compagnie Financiere Eternit), e viene scelto proprio De Cartier che diventa Amministratore Delegato il 26 giugno 1966 e Presidente nel 1971.
Dal 1971 al 1975 lo troviamo nel Consiglio di Amministrazione di Eternit Italia.
Resta presidente di CFE fino al 1986.

Cosa accadrà ora?

Durante l’udienza del 20 maggio 2013 l’avvocato Zaccone ha chiesto lo stralcio della posizione del suo assistito, richiesta non accettata dalla Corte che lunedì 3 giugno 2013 ha emesso la sentenza del processo di Appello di Eternit, in cui dichiara “di non doversi procedere nei confronti di De Cartier De Marchienne Louis …per sopravvenuta morte dell’imputato e conseguentemente, revoca nei suoi confronti le sanzioni accessorie applicate e le statuizioni civili pronunciate nell’impugnata sentenza“.
La morte di Louis De Cartier De Marchienne ha quindi eliminato la possibilità di ottenere il risarcimento dalla parte civile Etex, che era chiamata in giudizio quale successore di CFE.
Rimane la strada del processo civile, che è notevolmente più scomoda.

Link di riferimento

Processo Thyssen: le motivazioni della sentenza "di appello 2013"

Il 27 maggio 2013 i giudici hanno depositato le motivazioni della sentenza del processo d’appello Thyssen.
In collegio con un altro CT, ho partecipato alle indagini fornendo alla Procura consulenza tecnica in merito a:

  • l’organizzazione della società dove è avvenuto l’incidente (e del gruppo più ampio in cui si inseriva);
  • le indicazioni sulla consapevolezza del pericolo prima dell’incidente e sulle misure che erano state discusse per fronteggiarlo. In particolare, abbiamo ricostruito le procedure di investimento e gli accadimenti che hanno contraddistinto le scelte sugli investimenti per la messa in sicurezza dell’impianto dove è avvenuto l’incidente.

In qualità di teste dell’accusa ho partecipato al processo di primo grado e la consulenza tecnica viene citata diffusamente nella sentenza di secondo grado.

La storia

La notte tra il 5 e 6 dicembre 2007, nell’acciaieria ThyssenKrupp di Torino, una fuoriuscita di olio bollente sulla linea 5 prende fuoco e investe sette degli otto operai presenti: Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Antonio Schiavone, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino. Gravemente ustionati i 7 moriranno nel corso del mese successivo. Antonio Boccuzzi, l’unico superstite, testimonierà al processo.

I processi

Il processo di primo grado inizia nel gennaio 2009 e si conclude il 16 aprile 2011, con la condanna dell’amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn a 16 anni e mezzo di reclusione per omicidio volontario. Cosimo Cafueri, Giuseppe Salerno, Gerard Priegnitz e Marco Pucci sono condannati a 13 anni e 6 mesi per omicidio e incendio colposi con colpa cosciente e omissioni delle cautele antinfortunistiche; Daniele Moroni a 10 anni e 10 mesi.
L’aspetto più significativo della condanna di primo grado non è tanto la pena inflitta, quanto il riconoscimento (forse il primo in assoluto) del fatto come omicidio volontario e non colposo. Un bell’articolo comparso sulla rivista on line Eutekne del 19-04-2011 chiariva – al di là dell’emotività che il fatto ha suscitato – il significato innovativo di quella sentenza.
Il processo di secondo grado è iniziato il 28 novembre 2012 e si è concluso il 28 febbraio 2013, con la riduzione delle pene per gli imputati. La Corte ha riconosciuto Harald Espenhahn non più colpevole di omicidio volontario, ma colpevole di omicidio colposo con colpa cosciente e lo ha condannato a 10 anni di reclusione. Anche gli altri imputati hanno ricevuto riduzioni di pena: 9 anni a Moroni, 8 anni e mezzo a Salerno, 8 a Cafueri, 7 ciascuno a Priegnitz e Pucci.

Link di riferimento

Firma digitale e marche temporali

La firma digitale è un sistema che permette di stabilire l’integrità e l’autenticità del documento e di verificare l’identità del mittente.

Secondo Wikipedia:

“La firma digitale di un documento informatico si propone di soddisfare tre esigenze:

  • che il destinatario possa verificare l’identità del mittente (autenticità);
  • che il mittente non possa disconoscere un documento da lui firmato (non ripudio);
  • che il destinatario non possa inventarsi o modificare un documento firmato da qualcun altro (integrità).

Un tipico schema di firma digitale consiste di tre algoritmi:

  • un algoritmo per la generazione della chiave che produce una coppia di chiavi (PK, SK): PK (Public Key, chiave pubblica) è la chiave pubblica di verifica della firma mentre SK (Secret Key) è la chiave privata posseduta dal firmatario, utilizzata per firmare il documento.
  • un algoritmo di firma che, presi in input un messaggio m e una chiave privata SK produce una firma σ.
  • un algoritmo di verifica che, presi in input il messaggio m, la chiave pubblica PK e una firma σ, accetta o rifiuta la firma.”

Come funziona?

Prima di tutto è necessario registrarsi e ottenere le credenziali presso uno dei  certificatori accreditati  in Italia.
Dopo è necessario scegliere il sistema di firma: P7M o PDF.

A) Firma P7M

Uno dei sistemi più diffusi, richiede la presenza di un programma specifico sia sul computer di chi firma il documento, sia su quello di chi lo riceve e deve controllarne l’autenticità.
Chi firma il documento ha bisogno di avere:

  • un computer connesso a internet
  • un programma in grado di salvare i documenti in formato PDF (spesso è richiesto il formato PDF/A)
  • una smart card (una tessera, tipo carta di credito) e un lettore di smart card (connesso al computer tramite porta USB) oppure un token USB (una chiavetta USB)
  • il software di firma

In pratica il documento in pdf viene “imbustato e sigillato” per l’invio.
I file con firma digitale di solito hanno una doppia estensione: per esempio “pippo.pdf.p7m“.
Chi riceve il documento per poterlo leggere deve avere un lettore di file PDF e soprattutto il software che abiliti alla lettura del documento firmato digitalmente, altrimenti il documento risulterà illeggibile.

B) Firma PDF

Il secondo sistema, più semplice ma meno diffuso in Italia, inserisce la firma digitale all’interno del file pdf che quindi sarà leggibile dal lettore pdf.
Per poterlo utilizzare è necessario avere:

  • un computer connesso a internet
  • una copia di Adobe Acrobat
  • installare l’add-on per la firma digitale.

Per poter leggere i file firmati dirittamente con questo sistema è sufficiente avere il lettore Adobe Reader.

Scadenza della firma digitale e marche temporali

Per i neofiti della firma digitale aggiungo ancora due informazioni:

  • la firma elettronica ha una durata a tempo: dopo pochi anni dall’acquisto, generalmente 3, scade e bisogna rinnovarla (a pagamento);
  • la firma elettronica autentica chi firma il documento, non la data delle firma. Per attestare in modo inoppugnabile la data, occorre comprare le marche temporali, dei “francobolli virtuali” che vanno apposti su ciascun documento firmato. Si acquistano in blocchi, finita una serie di marche, occorre comprarne un’altra.

La marche temporali funzionano in modo simile al sistema P7M: il documento viene imbustato e viene cambiato il formato in M7M, ad esempio “pippo.pdf.m7m”. La validità è di 20 anni.

In pratica: come e chi usa la firma digitale in Italia.

Firma digitale e Camere di Commercio: P7M

Dopo i Notai, i commercialisti sono stati tra i primi ad avventurarsi nel mondo della firma digitale: da diversi anni devono presentare al Registro Imprese i documenti firmati digitalmente dei loro clienti (per le variazioni dati societari e soprattutto i bilanci annuali). Molte Camere di Commercio utilizzano gli strumenti messi a disposizione da InfoCert, Aruba, PosteCert o altri ancora, tutti attraverso il sistema P7M.

Firma digitale e Giustizia: primi passi

Ad oggi la firma digitale non viene utilizzata per firmare le consulenze tecniche e le perizie rese alla Magistratura. Il documento valido resta la relazione scritta, stampata, firmata su carta. La data è attestata dal timbro che appone la Cancelleria sulla nostra copia del documento. Il CD con la relazione in formato PDF, sempre più richiesto dai Giudici, per ora è un accessorio.
In campo giudiziario la carta domina ancora, ma qualcosa si muove: le trascrizioni dei processi sono firmate con il sistema PDF.

Conclusione

Nella situazione attuale, la firma digitale è ancora poco diffusa nella Pubblica Amministrazione, tranne nei rapporti con le Camere di Commercio, con l’Agenzia delle Entrate e con l’Agenzia del Territorio, dove viene ampiamente impiegata. Le marche temporali sono per ora francamente sprecate.
Per tutti gli altri casi la carta continua a essere l’unica ad avere validità legale, anche se ci sono primi segnali positivi di innovazione.

Link di riferimento

Agenzia per l’Italia digitale – Firma digitale e certificatori
Camera di Commercio di Ferrara – Come firmare digitalmente un documento
Camera di Commercio di Milano – La firma digitale
CompEd.it – La firma digitale
Exentrica.it – FAQ sulla firma digitale

Anatocismo, boom di ricorsi, nuove imprese

Cos’è l’anatocismo, quali sono le modifiche introdotte negli ultimi anni dalla Corte di Cassazione, e perché hanno prodotto uno sviluppo repentino e vivacissimo di una nuova linea di business per avvocati e commercialisti, con una chiara impronta “commerciale“.

Cos’è l’anatocismo?

Sono gli interessi sugli interessi, in teoria vietati dalla legge italiana, ma in pratica ammessi nel settore più rilevante, ovvero quello del credito bancario.

Un po’ di storia

Fino al 1999, i Tribunali davano ragione alle banche, quando i clienti provavano a lamentare che ogni trimestre gli interessi passivi del conto corrente venivano sommati al capitale dovuto e finivano così per generare interessi su interessi.
Nel 1999, la Corte di Cassazione cambia opinione, scatenando un piccolo terremoto.

Posizione del Governo

Il Governo, per venire incontro alle banche, approva una modifica del Testo Unico Bancario (il cosiddetto TUB) che esplicitamente prevede la possibilità dell’anatocismo bancario, purché la capitalizzazione degli interessi avvenga con uguale periodicità a favore e sfavore del cliente.
Per questo motivo dal 2000 le banche riconoscono gli interessi attivi sul conto corrente ogni trimestre e non più annualmente.
Rimase invece irrisolto il problema dei conti correnti aperti prima del 2000, che per decenni avevano subìto l’addebito di interessi ogni trimestre e avevano ricevuto gli interessi attivi ogni anno.
Il Governo ha tentato due volte di introdurre una sanatoria per l’anatocismo ante aprile 2000. Entrambi i provvedimenti sono però stati eliminati dalla Corte Costituzionale, la seconda volta nell’aprile 2012.

Anatocismo e soglie d’usura

Le banche hanno anche un altro problema nei confronti dell’anatocismo: le soglie d’usura. Se si depura il saldo del conto dagli interessi sugli interessi, l’importo degli interessi che la banca ha addebitato sul conto diventa – in percentuale di un capitale che si riduce – più rilevante. Può succedere che la percentuale superi la soglia d’usura; in questo caso per la banca sono guai.
Si moltiplicano i casi in cui funzionari vengono condannati per prestiti usurai che essi hanno deliberato a nome della loro banca.

Diritti del correntista

Il problema dei conti correnti aperti prima del 2000 è stato affrontato anche da una nuova importante sentenza del 2010 – a favore dei correntisti – della Corte di Cassazione (a Sezioni Unite e quindi compatta). La Corte ha stabilito che il diritto di chiedere alle banche la restituzione degli interessi sugli interessi (un diritto che si prescrive in dieci anni) non parte dal momento in cui sono stati addebitati gli interessi illeciti, ma dal momento in cui il conto corrente viene chiuso.
In definitiva, i titolari di ogni conto corrente bancario aperto prima del 20 aprile 2000 e ancora aperto, o chiuso da meno di dieci anni, hanno il diritto di chiedere alla banca la restituzione dell’importo derivante dall’anatocismo.

Fare ricorso: sì o no?

Chi era “in rosso” dieci e più anni fa, spesso continua ad essere “in rosso”. Questi soggetti temono che, chiedendo la restituzione degli interessi usurari, gli venga revocato il fido per ritorsione.
È un rischio da valutare, ma ci sono casi in cui il ricorso può essere efficace:

  • se ci sono i requisiti, si raggiunge una transazione con la banca senza il bisogno di intraprendere un’azione legale;
  • se il richiedente ha cambiato banca, chiedere il rimborso alla vecchia banca non presenta particolari rischi;
  • se il cliente della banca ha già ricevuto la revoca del fido e non è in grado di rientrare, può chiedere il rimborso alla banca non per ricevere denaro, ma per pagarne di meno a saldo e stralcio. Questo è il caso in cui il cliente “vince” più facilmente: la banca si toglie due problemi con una sola transazione.

Un nuovo settore economico a cavallo tra impresa e libera professione

Intraprendere un’azione nei confronti di una banca richiede necessariamente un ausilio tecnico.
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale dell’aprile 2012, questi tecnici sono partiti a caccia di clienti vittime dell’anatocismo.
Non si tratta, però, più solo di commercialisti e/o avvocati – così come sarebbe avvenuto fino a pochi anni fa – ma di vere e proprie organizzazioni commerciali, che ingaggiano agenti di commercio per un’azione di “marketing” più aggressiva e che si organizzano al loro interno con procedure di lavoro parcellizzato tipico di un’impresa e non di uno studio professionale.
Sta cadendo quella barriera tra impresa e libera professione, che in Italia era innata da secoli a livello sociale oltre che legale. Da una parte, le imprese hanno sempre meno vincoli ad aggredire le tradizionali aree di clientela dei professionisti; dall’altra i professionisti non sono più vincolati come un tempo dagli ordini professionali. Prova ne sia che – nel caso dell’anatocismo – molti avvocati e commercialisti lavorano all’interno delle organizzazioni commerciali specializzate che sono nate.

Quanto costa agire contro una banca?

Gli onorari per questi servizi possono comprendere un compenso fisso predeterminato più una percentuale sul risultato, oppure la sola percentuale sul risultato (spesso, in questi casi, il lavoro di organizzazione dei documenti è a carico del cliente).
Quando la consulenza era legalmente riservata ai liberi professionisti (avvocati e/o commercialisti) il cliente non poteva pagare in percentuale del risultato, ma solo secondo le tariffe professionali. Quando perdeva, il cliente si ritrovava più povero di prima. Ora invece, al massimo avrà perso tempo (più il compenso fisso, che però non è universale).
La riduzione del rischio economico spinge un certo numero di incerti ad agire contro la loro banca e a ingrandire così l’ondata delle istanze di rimborso (e di azioni legali) che si sta abbattendo sulle banche.

Conclusione

Le banche non stanno certo vivendo un momento di popolarità a livello sociale. Il fiorire di attività volte ad affrontare il tema dell’anatocismo è una delle tante conseguenze.
Vedremo se il governo tenterà per la terza volta di emanare una sanatoria a favore delle banche. L’ultima volta, è stato battuto per un difetto tecnico della legge e non per un motivo di sostanza.
Nel frattempo si è creato un nuovo settore economico dove avvocati, commercialisti e molti altri professionisti stanno lavorando intensamente.

Link di riferimento:

Per conoscere lo stato della giurisprudenza sull’anatocismo, consiglio questi due articoli, ammirabili al tempo stesso per la chiarezza e per la completezza: