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Controllo di gestione obbligatorio: che fare?(4)

TRE SUGGERIMENTI MINIMI, PER CHI NON HA TEMPO NÉ DENARO

In questa ottica, suggerisco tre scelte MINIME, che permetteranno a chi non ha denaro e tempo a sufficienza, di iniziare ad adeguarsi alla Legge e al contempo avere comunque qualche beneficio in termini di controllo della gestione.

In ordine di facilità di implementazione le tre scelte sono:

  • rivedere e modificare il piano dei conti;
  • adottare un “budget” finanziario di base, su un singolo figlio Excel;
  • rivedere la gestione del magazzino.

Continua. Domani la quinta parte.

Controllo di gestione obbligatorio: che fare?(3)

FARE, MA ANCHE DIMOSTRARE DI AVER FATTO

Accantonando un attimo il tema del controllo di gestione, io vedo – tra i gestori di imprese fallite – persone che AVEVANO PROBABILMENTE TENUTO la contabilità generale, ma che non si sono curate di consegnarla al Curatore, o che l’hanno consegnata in uno stato così disordinato che essa diventava inutilizzabile.

Queste persone si vedono a volte contestare la bancarotta semplice (quando non addirittura la bancarotta fraudolenta documentale), e solo per aver provato a risparmiare pochi spiccioli di cancelleria, oppure per essersi abbandonate a quella depressione che assale tanti imprenditori, quando vedono finire in malo modo la propria attività.

L’imprenditore deve tener presente la differenza tra FARE (per esempio tenere la contabilità) e DIMOSTRARE DI AVER FATTO (per esempio consegnarla in modo compiuto al Curatore).

Accanto a chi ha fatto e non riesce a dimostrarlo, a volte ho anche incontrato chi NON ha fatto, ma si è precostituito documentazione formale che sembra dimostrare che si sia fatto. Nel campo della sicurezza sul lavoro, per esempio, questo succede in più di un caso.

Continua. Domani la quarta parte.

Controllo di gestione obbligatorio: che fare?(2)

COME FUNZIONA?

Il nuovo articolo 2086 del Codice Civile impone di “… istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale“.

Per ottenere questo, occorre adottare (a mio avviso):

  • una “contabilità dei costi”, che permetta di capire in tempi immediati la redditività di ciascun prodotto e servizio;
  • un sistema di “controllo di gestione” costituito da un bilancio preventivo a livello mensile o trimestrale (“budget”), da utilizzare come metro di misura dei risultati effettivi via via ottenuti durante l’anno.

Si tratta di procedure complicate, che non possono essere improvvisate e che richiedono competenza trasversali – a cavallo tra quelle dell’ingegnere e quella del commercialista “aziendalista”.

Non per nulla, in questo settore il mercato della consulenza è distribuito tra figure diverse. Oltre agli ingegneri e ai commercialisti (oggi in rimonta, soprattutto i giovani), ci sono anche persone senza qualifiche formali, ma che semplicemente hanno imparato il mestiere sul campo, magari lavorando come dipendenti di qualche impresa di grandi dimensioni e ben organizzata. La conoscenza del settore merceologico è importante.

Molte imprese, anche medio-piccole, già adottano la contabilità dei costi e il controllo di gestione – che sono in primo luogo uno strumento per guidare l’azienda, e non solo un obbligo di legge.

Chi ancora non l’adotta, però, sicuramente in questo momento è conteso tra la pressione ad adeguarsi ed il costo – non certo indifferente – di impiantare una nuova procedura e una nuova contabilità.

Anche se non sono un esperto di controllo di gestione, ho due suggerimenti per questi imprenditori:

  • fare comunque qualcosa, anche minimo, è meglio che non fare nulla;
  • prepararsi a dimostrare, un domani, di aver fatto qualcosa.

Continua. Domani la terza parte.

Controllo di gestione obbligatorio: che fare?(1)

NUOVE REGOLE

Controllo di gestione: dal 16 marzo 2019 è diventato OBBLIGATORIO, per le società commerciali, organizzarsi in modo da rilevare tempestivamente l’eventuale situazione di crisi e – ancor più – la “perdita della continuità aziendale“.

L’obbligo è previsto in un nuovo comma, che si è aggiunto in coda all’art. 2086 del Codice Civile.

Gli amministratori che non si adeguano, diventano personalmente responsabili per i danni che causano ai creditori della società. Finora, invece, questa responsabilità di fatto scattava solo in caso di colpa (“mala gestio”), oltre che, ovviamente, in caso di dolo.

C’era sì il dovere degli amministratori di cessare l’attività quando il patrimonio era perso, ma era difficile dimostrare QUANDO ciò era accaduto. Con l’obbligo di controllo di gestione, invece, diventa ora più facile inchiodare gli amministratori alle loro responsabilità. Tanto più che dal 16 marzo 2019, i criteri per calcolare il danno risarcibile vengono inseriti direttamente nel Codice Civile (con un nuovo comma aggiunto all’art. 2486).

Senza contare che dal 15 agosto 2020, l’Agenzia delle Entrate e l’Inps dovranno segnalare quelle imprese che non versano regolarmente quanto dovuto.

Quest’ultima è la novità più dirompente di tutte. Se la norma non verrà cambiata (sembra che ADE e Inps non la gradiscano), per gli imprenditori diventerà pressoché impossibile nascondere l’insolvenza.

L’obbligo di segnalazione, da parte di Agenzia delle Entrate e Inps, è il vero “bastone” della nuova Legge (Codice della Crisi e dell’Insolvenza), studiato per evitare la situazione di oggi, quando gli imprenditori continuano a rinviare nel tempo il riconoscimento della propria crisi e così facendo amplificano i danni alle tasche altrui e alla buona fede del mondo degli affari.

La “carota” sarà invece l’abolizione della parola “fallimento” (che oggi marchia d’infamia gli amministratori delle società fallite) e soprattutto l’abbandono della dissoluzione dell’impresa come esito della crisi di fatto imposto dalla Legge.

Se la malattia dell’azienda verrà presa in tempo (ha ragionato il Legislatore) diventerà possibile continuare l’attività, dopo una ristrutturazione che non escluderà più, a priori, il vecchio “imprenditore”.

La parola “fallimento” sta per andare in pensione, ma la parola “Curatore” non sarà più il sinonimo di “becchino” ma – appunto – quella di uno che cura il paziente per mantenerlo in vita.

E il modello americano del “Chapter 11”. Sarà interessante vedere il funzionamento pratico della sua versione italiana.

Continua. Domani la seconda parte.

Dall’usura bancaria al fallimento

Quando avrò terminato la serie dei cinque video sull’usura bancaria (tra pochi giorni), intendo produrre una nuova serie di video, dedicati al reato di “falso in bilancio” nell’ambito dell’insolvenza commerciale.

L’articolo comparso oggi sulla rivista Eutekne mi offre lo spunto per introdurre il discorso.

A giudicare dal titolo, l’articolo fa presagire una noia mortale per tutti, tranne che per avvocati e giudici.

Dietro ai discorsi tecnici, invece, c’è una realtà assolutamente bruciante per ogni amministratore di società fallita o persona dichiarata fallita in proprio, ovvero:
– da quando decorre la prescrizione (e l’eventuale indulto) del reato di bancarotta?

A buon senso, verrebbe da dire da quando uno ha “rubato” dall’impresa fallita o ha commesso uno degli altri fatti che la Legge qualifica come bancarotta.

E invece NO!

La legge stabilisce (con qualche dubbio, oggetto della sentenza) che la data in cui si considera commesso il reato è quella in cui viene dichiarato il fallimento.

In altre parole, se io amministratore di una Srl quindici anni fa mi sono fatto una vacanza a spese della società (magari quando la società andava a gonfie vele, e magari anche se io ero socio al 100%) e oggi la società viene dichiarata fallita, la mia “distrazione” (leggasi appropriazione) si considera come commessa OGGI.

Prima che arrivi la prescrizione (che è il modo con cui si concludono la maggior parte dei processi penali in Italia) … campa cavallo!

Usura bancaria e fallimentoL’articolo Eutekne

Riforma della legge fallimentare – Incertezze

Segnalo un articolo comparso sul quotidiano on line Eutekne, diffuso tra i commercialisti.

Condivido l’incertezza, espressa dall’autore, sull’effettiva entrata in vigore della riforma del fallimento, che è legge ma che manca del decreto attuativo.

Il nuovo fallimento – Agenzia delle Entrate e INPS

Ritengo però che questo ritardo non sia frutto solo di incapacità, ma che rifletta i timori sulle conseguenze dell’entrata in vigore della legge. Il “nuovo fallimento” mira a far emergere l’insolvenza fin dal suo insorgere – senza aspettare che il “buco” si allarghi, come oggi succede quasi sempre, quando l’impresa continua a lavorare in perdita. Al momento, però, esistono moltissime imprese insolventi che continuano a lavorare. Se d’improvviso l’Agenzia delle Entrate e l’INPS segnalassero come potenzialmente insolventi tutte le imprese che non versano regolarmente imposte e contributi (così come vuole la nuova legge) ci sarebbe un’ondata di procedure fallimentari che si ripercuoterebbe negativamente sull’economia. In teoria, il fenomeno sarebbe passeggero, ma gli economisti (e l’esperienza di ciascuno di noi) insegnano che gli shock esterni possono innescare meccanismi a catena che si prolungano nel tempo. Quale governo è disposto ad accettare che questo avvenga sotto la sua amministrazione?

L’esdebitazione

Segnalo poi anche che la nuova legge sposta ulteriormente l’ago della bilancia a favore del capitale “dinamico” (quello gestito dagli imprenditori) e a danno del capitale “statico” (quello gestito dai risparmiatori e degli intermediari finanziari). Nell’indifferenza generale, la precedente riforma fallimentare ha fatto un regalo enorme agli imprenditori che sbagliano, ovvero l’ESDEBITAZIONE. Prima della riforma, alla chiusura del fallimento l’imprenditore rimaneva responsabile di quella parte dei suoi vecchi debiti, che non era stata pagata dal Curatore. Oggi invece, la chiusura del fallimento cancella TUTTI i debiti dell’imprenditore, quelli pagati dal Curatore e anche quelli che nessuno ha pagato. Salvo strascichi penali, l’imprenditore fallito può ripartire senza il peso dei vecchi debiti. Chi rimane danneggiato sono i creditori. La nuova legge si inserisce in questa scia, per così dire “all’americana”, e attenua ulteriormente le conseguenze negative del fallimento per l’imprenditore.

Non voglio dire che questo sia un male: forse hanno anche ragione quelli che prevedono maggior dinamismo economico dal dare una seconda possibilità a chi ha già sbagliato una volta. Però mi piacerebbe che se ne parlasse. Il sistema attuale, che fornisce scappatoie a chi (anche fuori dal fallimento) non paga i suoi debiti – per esempio – non mi sembra nè efficiente nè tanto meno equo.

Articolo Eutekne legge fallimentare

 

L’articolo Eutekne

 

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