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Cassazione e interessi moratori

Il privato che va in banca a chiedere un mutuo per comprarsi la casa, è interessato quasi solo ad un aspetto: il tasso che pagherà, ovvero il “tasso corrispettivo“.

Magari guarda anche cosa succede se volesse rimborsare anticipatamente il mutuo (“vincessi la lotteria ..“).

Quasi mai si interessa di cosa succede in caso di suo ritardo di pagamento. Se chiede il mutuo, è perché pensa di poterlo pagare. La clausola sui ritardi di pagamento è tra le più difficili da comprendere. E comunque, ipotizzare l’insolvenza “porta male“.

Tasso di mora ed economia delle banche

La banca, invece, ha un approccio molto più scientifico. Sa che una percentuale (in questi anni crescente) di clienti, pagherà in ritardo almeno qualche rata del mutuo. In qualche caso, il cliente smetterà del tutto di pagare e allora sarà necessario far mettere all’asta l’immobile.

Per questi motivi, la banca prevede che ogni qual volta il cliente non paga regolarmente, il tasso di interesse corrispettivo viene maggiorato di un tasso addizionale, detto moratorio.

In questi anni, le banche soffrono (non solo sui mutui) di un elevato numero di mancati incassi di capitale e di interessi. Nonostante questo, sono in grado di pubblicare bilanci che mostrano un utile, proprio grazie agli interessi moratori, che gonfiano i ricavi anche se non generano liquidità.

La liquidità, incidentalmente, viene dalla BCE, che impresta loro denaro gratis o quasi. Recentemente, la BCE ha addirittura PAGATO le banche per prendere a prestito denaro. È per questo che le banche non fanno più la corte ai piccoli risparmiatori, così come facevano una volta. La BCE, però, vuole che le banche abbiano un elevato patrimonio netto o un’alta qualità media dei loro crediti. È per questo ultimo motivo, che le banche soffrono per il declassamento del nostro debito pubblico.

Il tasso di mora non serve solo ad abbellire i bilanci delle banche, ma serve anche a RIVENDERE i mutui. Esiste infatti un florido mercato, in cui le banche italiane vendono “pacchetti” di mutui a fondi ed istituzioni creditizie spesso all’estero (là dove i tassi di interesse italiani, più alti della media del nord Europa, fanno gola).

Nel mercato dei “Non Performing Loans” (NPL, ovvero crediti in sofferenza), il tasso di mora è cruciale. Per un broker inglese, per esempio, fa un mare di differenza sapere che un pacchetto di mutui rimborsati irregolarmente, rende – per dire – il 7 % (grazie alla mora) e non il 3 % (da puri interessi corrispettivi). Una parte dei mutui sarà già stata rimborsata prima della compravendita e quindi – in percentuale del residuo – la garanzia sale. Un’altra parte dei mutui sarà pagata in futuro (più o meno spontaneamente, ma sempre con gli interessi elevati) da chi ha paura di perdere la casa. Sull’ultima porzione si ricorrerà all’azione esecutiva. Oggi gli immobili si vendono con difficoltà, ma con un tasso di mora sufficientemente alto il tempo trascorre a favore del creditore, non del debitore. Nelle città dove il mercato immobiliare è intasato da molte esecuzioni immobiliari, con conseguente pressione al ribasso sui prezzi, le banche possono permettersi di non fare fretta ai delegati alle esecuzioni. Come un taxista fermo ad attendere il cliente, con il tassametro che gira.

Il 7 % è un numero che ho inventato io, ma è un fatto assodato che il tasso di mora è ben più alto di quanto non sembri scorrendo il contratto di mutuo. Questo tasso è infatti applicato NON sul capitale residuo, ma sulle rate scadute (composte di capitale ma anche di interessi) e sulle spese di esecuzione che la banca anticipa. Rispetto al capitale residuo, la somma di tasso corrispettivo e di tasso di mora producono una miscela spesso esplosiva. Per chi compra gli (i?) NPL e ottiene anche una riduzione rispetto al valore “facciale” del capitale, il tasso di rendimento effettivo può essere anche superiore al 7 %.

In questi periodi di tassi azzerati, o quasi, chi ha denaro da investire trova negli NPL affari golosissimi. Le banche venditrici, dal canto loro, guadagnano un miglioramento della qualità del loro attivo, che giustifica il sacrificio sul prezzo.

Sull’altra faccia della medaglia, ci sono i poveretti che non riescono a pagare il mutuo. Magari hanno pagato otto o nove anni di rate, su venti. Magari hanno dato in garanzia un immobile che valeva (ai tempi) il 40-50% in più dell’importo originario del mutuo. Eppure, dopo che la banca si è soddisfatta con il ricavato della vendita del loro immobile, si trovano … con un residuo debito!

E siamo in Italia, dove la vendita è (fortunatamente) sorvegliata dal Tribunale, non negli Stati Uniti, dove il creditore gestisce in proprio la vendita! Apro una parentesi: tanti economisti italiani si sono formati in America e quando scrivono di queste cose, danno per scontato che anche in Italia funzioni come nei libri che loro hanno studiato. Magari ci arriveremo, per forza di attrazione di quel modello culturale. È già successo in diversi altri ambiti. Nei paesi di tradizione religiosa protestante, incidentalmente, l’usura non è un reato.

 

 Il tasso di mora e l’usura

In Italia, come è noto, i tassi di interesse hanno un limite giudiziario costituito dalla soglia di usura.

La persona fisica (e SOLO la persona fisica), che decide la concessione di un prestito con tassi di interesse sopra la soglia, viene punito dalla norma penale.

Sul piano civile, la clausola che prevede interessi usurari è nulla. Lo stabilisce, dal 1996, l’articolo 1815 del Codice Civile, secondo comma.

In casi più rari, il tasso usurario viene sostituito dal tasso “legale” fissato dal codice civile. Dall’1.1.2018 il tasso legale è pari allo 0,3%. Può essere variato entro il 15 dicembre di ogni anno.

La Corte di Cassazione ha affermato in più sentenze che il tasso di mora deve rispettare la soglia di usura.

Ciononostante, diversi giudici, con ragionamenti molto particolari, continuavano a ritenere il contrario.

Il 30 ottobre 2018 è intervenuta una ulteriore sentenza della Corte di Cassazione (qui il link), che cerca di mettere la parola fine a questa diatriba.

La sentenza ha suscitato l’iniziale favore degli avvocati che seguono chi è in lite con le banche. Ecco, tra i tanti, una delle prime reazioni da parte degli Studi Legali.

Per i consulenti tecnici contabili, come me, questa sentenza fa nascere alcuni interrogativi. E apre la porta all’aumento della soglia di usura, a discapito dei futuri beneficiari di mutui.

Prima di entrare nel merito, vediamo ancora come si regolano OGGI Banca d’Italia e Ministero dell’Economia, nello slalom tra interessi corrispettivi e interessi di mora.

 

 Banca d’Italia e MEF, tra interessi corrispettivi e di mora

Secondo quanto prevede la Legge sull’usura (L. 7 marzo 1996 n. 108):

  1. ogni trimestre, la Banca d’Italia verifica i tassi medi praticati sul mercato. Le istruzioni e le formule preparate dalla Banca d’Italia a tal fine, finiscono di essere la principale guida anche per i consulenti tecnici in sede giudiziaria, che le usano invece per calcolare il tasso effettivo che la specifica banca ha poi praticato sullo specifico finanziamento oggetto di controversia;
  2. Banca d’Italia arriva così a determinare un singolo tasso medio, per ciascuna di quelle tipologie di operazioni che essa stessa ha suggerito. Oggi, vi sono 24 diverse tipologie di operazioni, che potete leggere nell’Allegato A del decreto ministeriale del 27 settembre 2018;
  3. il Ministero dell’Economia e Finanze (MEF) riceve dalla Banca d’Italia i tassi medi, calcola la soglia di usura e pubblica – poco prima dell’inizio di ciascun trimestre solare – un decreto con le soglie di usura valide per il trimestre successivo. Il calcolo originario, del 1996, era semplice (media + 50%). Dal 2011 è diventato complicato (il più basso tra: la media + 25% + 4 punti percentuali e la media più 8 punti percentuali). Se vi interessa qualche ulteriore chiarimento e considerazione sul cambio di meccanismo (che ha favorito le banche tradizionali a scapito delle società finanziarie e delle nuove banche), potete leggere il mio post del 6 settembre 2018.

Nella categoria dei mutui fondiari, fino al novembre 2018 la Banca d’Italia rilevava in ogni trimestre SOLO GLI INTERESSI CORRISPETTIVI.

Il MEF era ed è d’accordo con questa impostazione, visto che pubblica il tasso soglia DEI SOLI INTERESSI CORRISPETTIVI.

Per il quarto trimestre 2018, per esempio, sappiamo che per i mutui a tasso fisso le banche praticavano un interesse medio del 2,55% e che il mutuo viene considerato usurario, senza possibilità di prova contraria, ogni qual volta il tasso corrispettivo supera il 7,1875 %.

Nel testo del Decreto (ma non nella tabella dei tassi soglia) il Ministero informa il lettore che:

  1. i tassi effettivi globali medi indicati nel decreto NON SONO COMPRENSIVI degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento;
  2. secondo l’ultima rilevazione statistica della Banca d’Italia, i tassi di mora pattuiti sui mutui ipotecari DI DURATA ULTRAQUINQUENNALE presentano una maggiorazione media del 1,9% rispetto ai tassi corrispettivi.

Nella Nota metodologica di corredo al Decreto apprendiamo poi che:

  1. tale tasso dell’1,9% non deriva da un’indagine a tappeto (ovvero sull’ “universo” statistico), così come per gli altri tassi, ma da un campione di circa 2 milioni di rapporti, accesi nel secondo trimestre 2015;
  2. le condizioni pattuite per l’eventuale ritardo nel pagamento, vengono “espresse come differenza media in punti percentuali tra il tasso di mora su base annua e il tasso di interesse annuo corrispettivo“. Dunque, anche la mora è riferita, in percentuale, al solo capitale residuo. Questo è molto importante, perché sui contratti di mutuo il tasso di mora non è normalmente espresso in questo modo, bensì come un tasso addizionale che si applica a TUTTO il debito non pagato alla scadenza, senza distinguere tra capitale ed interessi.

Sempre ancora sul tema della rilevazione statistica del tasso corrispettivo e del tasso di mora, vale anche la pena di leggere ciò che scrive la Banca d’Italia in un documento intitolato “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura“. È un documento del 2013, ma non risulta modificato e ad oggi compare sul sito della Banca. Ecco qui:

“Gli  interessi  di  mora  sono  esclusi  dal  calcolo  del  TEG,  perché  non  sono  dovuti  dal  momento  dell’erogazione  del  credito  ma  solo  a  seguito  di  un  eventuale  inadempimento  da  parte  del  cliente.  L’esclusione  evita  di  considerare  nella  media  operazioni  con  andamento  anomalo.  Infatti,  essendo  gli  interessi  moratori  più  alti,  per  compensare  la  banca  del  mancato  adempimento,  se  inclusi  nel  TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo  del  TAEG  (Tasso  Annuo  Effettivo  Globale)  le  somme  pagate  per  l’inadempimento  di  un  qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora“.

Su questo stesso documento si legge poi che:

“In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo”.

Il tasso di 2,1% derivava da una vecchissima rilevazione del 2002, generica per tutte le forme di finanziamento e senza chiarimenti di metodo. Solo a fine 2017, Banca d’Italia ha aggiornato il dato e lo ha meglio definito, permettendo così al MEF di abbassare il tasso di mora all’1,9% specificamente per i mutui ipotecari, come riportato sopra.

Qui arriviamo al punto: Banca d’Italia ha ragione, quando scrive che le banche applicano  ai debitori morosi un tasso più alto del semplice tasso corrispettivo.

Se Banca d’Italia abbandonasse la rilevazione del tasso corrispettivo sui mutui e iniziasse a rilevare il tasso chiesto ai morosi, il tasso soglia salirebbe e non di poco. Ecco qui una simulazione che ho calcolato in riferimento al quarto trimestre 2018:

Tabella tassi soglia

Questo approccio della Banca d’Italia pare in sintonia con una sentenza della Cassazione del 3 marzo 2017 (la n. 5598), dove si legge: “Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso“. C’è chi interpreta questa frase in modo diverso da quello di Banca d’Italia, ma sta di fatto che la frase è stata citata e ripetuta testualmente anche nella sentenza successiva della Cassazione, la n. 23192 del 4 ottobre 2017.

 Le conseguenze sui futuri tassi soglia

Al punto 1.11, la sentenza della Cassazione del 30 ottobre 2018 afferma un principio importantissimo:

“Al fine di prevenire ulteriore contenzioso, questo Collegio reputa opportuno soggiungere due notazioni finali. La prima è che il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2  L. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia”.

Questa frase fa la gioia degli avvocati e dei professionisti che tutelano usurati e aspiranti tali. D’ora in avanti (se la sentenza si affermerà) gli avversari delle banche potranno paragonare gli interessi moratori che essi subiscono, con la soglia italiana calcolata SENZA interessi moratori. La loro soddisfazione viene dal fatto che più bassa è la soglia, più è probabile che si trovi l’usura.

L’asimmetria in danno alle banche è evidente. È però anche vero ciò che scrive la Terza sezione della Cassazione, ovvero che la Legge sembra volere un UNICO tasso soglia per ciascuna tipologia di finanziamento.

La frase suona critica nei confronti di Banca d’Italia e MEF, in quanto definisce fantomatico ed arbitrario quel tasso aggiuntivo (oggi dell’ 1,9%) che esse pubblicano.

Come consulente tecnico del Pubblico ministero e del Giudice civile, non condivido – su questo punto – l’esultanza dei professionisti anti-banche.

Infatti la sentenza introduce il dubbio che il tasso di mora debba essere verificato in modo indipendente ed autonomo rispetto al tasso corrispettivo mentre invece io ho sempre visto contratti dove la mora SI AGGIUNGE al tasso corrispettivo.

In altre parole, si riapre il problema se sia corretto SOMMARE nel TAEG gli interessi corrispettivi e quelli di mora – problema che sembrava risolto affermativamente, dopo le sentenze della Cassazione del 3 marzo e del 4 ottobre 2017 sopra citate.

Questa sentenza dedica molte pagine ad un esame (coltissimo e raffinato) dei motivi letterali, sistematici, esegetici e soprattutto storici (quest’ultima davvero interessante), che rendono assimilabili gli interessi corrispettivi e quelli di mora.

Ciononostante, la sentenza non menziona mai, come rilevante, il TOTALE degli interessi che il debitore deve alla banca. E non solo la Corte prescrive conseguenze molto diverse, per il supero della soglia, da parte degli interessi di mora rispetto a quelli corrispettivi.

Se gli interessi corrispettivi superano la soglia, il debitore non deve interessi. In teoria, può anche chiedere la restituzione di quelli pagati in precedenza.

Se invece sono gli interessi di mora a superare la soglia, allora – secondo questa sentenza – il debitore è meno favorito: gli interessi (SOLO di mora, devo pensare) non vengono azzerati, ma solo ridotti al tasso legale.

È vero che il tasso legale è oggi bassissimo, ma qui è il diverso CRITERIO che conta.

Questo differente trattamento sembra indicare che ci si trovi di fronte a due accertamenti diversi ed autonomi, uno sul tasso corrispettivo e l’altro sul tasso di mora. Entrambi i tassi effettivi andrebbero paragonati alla medesima ed unica soglia rilevata da Banca d’Italia, ma in modo autonomo per ciascuno dei due.

Se davvero fosse così, le conseguenze sarebbero importanti e a tratti paradossali:

  1. di fatto, la vera soglia di usura – per chi non paga puntualmente – finirebbe di essere DOPPIA: una soglia per gli interessi corrispettivi (che sono comunque e sempre dovuti, almeno fino a quando il debitore non decade dal beneficio del termine) e una seconda soglia, che si somma alla prima, per gli interessi di mora. Ai tassi fissi di oggi sui mutui, il cliente della banca era più tutelato dall’impostazione della Banca d’Italia, che considera il tasso di mora medio all’1,9% e non al 2,55%;
  2. chi è usurato solo sul tasso di mora e non anche sul tasso corrispettivo, non ha alcun tornaconto economico a cercare rimedi giudiziari – almeno fino a quando non smette di pagare puntualmente le rata del mutuo. Questa ipotesi è resa più verosimile, dal fatto che la sentenza appellata prevedeva “… che la nullità del patto di interessi moratori non potrebbe mai escludere l’obbligo dell’utilizzatore di pagamento degli interessi corrispettivi” e che la Terza Sezione della Cassazione ha ordinato alla Corte di Appello di Milano (dove la causa è tornata, in una diversa sezione) di NON PRENDERE IN CONSIDERAZIONE QUESTO PUNTO, perché il ricorso in Cassazionenon l’aveva contestato. Se ho capito bene, l’appellante ha quindi ottenuto una vittoria di Pirro: in sentenza non vengono menzionati suoi ritardi di pagamento; dopo cinque anni e due sconfitte, ora ha vinto, ma non può evitare di pagare gli unici interessi che lo toccavano per davvero;
  3. l’accertamento tecnico diventa inutilmente più complicato. Se io contraggo un finanziamento di 100 Euro, da rimborsare in dodici rate mensili, non rimborso nessuna rata e alla fine la banca mi chiede 120 – tra interessi corrispettivi e interessi di mora – è evidente che avrò subìto un interesse effettivo del 20% annuo. Perché andare a frazionarlo ulteriormente nei due tipi di interessi? Il finanziamento è unico ed è unico anche il tasso che ho pattuito nel caso peggiore, ovvero quello che scatta se non pago puntualmente.

La conseguenza più grave che mi attendo, però, è che la Banca d’Italia sia spinta da questa sentenza a cambiare il criterio di rilevazione del tasso medio praticato dal sistema bancario sui mutui fondiari.

Se la Banca d’Italia volesse interpretare alla lettera questa sentenza, per omogeneità dovrebbe pubblicare:

  1. un unico tasso per ciascuna delle categorie di finanziamento, senza più menzionare la maggiorazione percentuale in caso di mora;
  2. il tasso PATTUITO, ovvero quello più elevato, riferito al caso di mora.

Il danno per i nuovi richiedenti mutui sarebbe grave.

Come si vede nella tabella sopra, nel quarto trimestre 2018, per esempio, la soglia di usura per i mutui a tasso fisso non sarebbe più il 7,1875% bensì il 9,5625%.

Tassi soglia

In questa tabella trovate il raffronto tra:

• alcuni tassi soglia oggi vigenti ai fini dell’usura;

• le stesse soglie, ma ricalcolate secondo la legge
originale.

Come vedete, a partire dal 2011 le soglie sono diventate più comode per chi dà a prestito denaro. Il rischio della contestazione dell’usura si allontana.

E non solo: il rischio è stato ridotto in modo più generoso per le tipologie di prestiti tipicamente effettuati dalle banche tradizionali, mentre la riduzione è modesta per le tipologie dove operano (anche) le società finanziarie e le nuove banche (mi riferisco a quelle finanziarie che si sono trasformate in banche). Anzi, in un caso (credito “revolving”, ovvero quello ai consumatori) la nuova soglia è addirittura più penalizzante.

Parlo di questi argomenti nella sezione 8 del mio video n. 2 di 5 sull’usura. Chi lo vuole vedere, qui il link. (I video sono situati in area protetta da password. Per chi non ha la password cliccare qui )

Sicuramente c’era almeno un buon motivo, sul piano logico, per modificare il criterio di calcolo. I tassi si erano rirotti così tanto, che con la vecchia soglia (tasso medio + 50%), le banche avevano margini di manovra ristretti in termini di assoluti. In gergo bancario: potevano allontanarsi pochi “punti base” dalla media del settore.

Trovo invece anomalo che la modifica sia avvenuta di punto in bianco, con un decreto legge immediatamente esecutivo, nonostante il criterio di calcolo precedente avesse funzionato senza critiche per più di quindici anni.

Questo fulmine a ciel sereno, tra l’altro, ha portato conseguenze indesiderate. Quando sono entrati in vigore i nuovi criteri – il 14 maggio 2011 – i tassi soglia del secondo trimestre del 2011 erano già stati fissati e comunicati con decreto ministeriale del 29 marzo 2011.

Quali, tra i due tassi soglia, si doveva utilizzare?

Dopo la solita confusione iniziale, è emersa la tesi di dividere il trimestre in due parti: fino al 13.5.’11 e dal 14.5.’11. Con non poche complicazioni in termini di calcolo (e forse anche di certezza del diritto, dico io, da non giurista).

Mi rifiuto di credere che questo “pasticcetto” sia passato inosservato all’esame preventivo dei tecnici del Ministero dell’Economia, che sono l’élite della pubblica amministrazione.
Mi sembra invece molto più verosimile che il cambiamento sia in relazione alle disposizioni sull’usura.

Nel 2010 ben due sentenze dalla Cassazione avevano stabilito che la commissione di massimo scoperto fa parte del costo del finanziamento ai fini dei calcoli del tasso effettivo applicato su ciascun conto corrente bancario, da paragonare con la soglia di usura. Nel 2011 una terza Cassazione scriverà in modo aperto che la Banca d’Italia ha sbagliato ad escludere la CMS dai conteggi della soglia.

Sull’onda di questo riconoscimento ufficiale, nel 2011 stavano arrivando alle Procure della Repubblica nuove denunce di usura, riferite a rapporti di conto corrente.

Il sistema bancario, poi, era in difficoltà anche su altri fronti, quali l’intreccio tra anatocismo e usura, la modifica del software per tener conto dell’inserimento della CMS nei calcoli, interventi legislativi altalenanti tra abolizione della CMS e sua reintroduzione con altro nome.

Il problema stava diventando “sistemico”.

Nel maggio 2011, l’aumento delle soglie di usura ha aiutato i prestatori di fondi, e soprattutto le banche, ad attenuarlo.

La mia tabella si basa sul decreto ministeriale 27.06.2018 (qui il link: Decreto Ministerale 27.06.2018). Sul decreto troverete anche i (nuovi) criteri di calcolo della soglia di usura.

#contenziosobancario

Tabella tassi soglia

La commissione di massimo scoperto

Sezioni Unite della Cassazione sulla
Commissione di massimo scoperto (CMS) e soglie di usura

Non è uno scandalo che diversi giudici giungano a conclusioni diverse sullo stesso tema. Succede anche – addirittura – alle varie sezioni della Corte di Cassazione, che come noto è il più elevato organismo giudicante d’Italia, a cui si conformano i giudici dei Tribunali e delle Corti d’Appello. Proprio questo ruolo della Cassazione di “guida” per tutti gli altri tribunali, rende necessario che quando la Cassazione è divisa al proprio interno, si riunisca a SEZIONI UNITE e decida una volta per tutte (o quasi) su come debba essere interpretata la legge.

La sentenza che pubblicizzo sotto tocca un punto molto importante dello scontro tra imprese e banche degli ultimi decenni.

Fino al 2009

Fino al 2009 compreso, la Banca d’Italia raccoglieva dalle banche le statistiche sui tassi praticati sui conti correnti “in rosso” ESCLUDENDO LA COMMISSIONE DI MASSIMO SCOPERTO. Queste statistiche servivano a calcolare il tasso medio praticato dalle banche e venivano pubblicate anche ai fini della legge sull’usura. Questo, a sua volta, creava una controversia sul metodo per calcolare il tasso effettivo praticato dalla banca al singolo prenditore di credito mediante conto corrente.

Le banche calcolavano il tasso effettivo SENZA LA COMMISSIONE DI MASSIMO SCOPERTO, sostenendo (con qualche ragione) che sarebbe stato ingiusto paragonare un tasso effettivo aumentato dalla commissione, con una media nazionale calcolata senza la commissione.

I prenditori di credito (quasi tutti imprenditori), invece, calcolavano il tasso effettivo includendo la CMS, sostenendo (anch’essi con ragione) che la legge sull’usura afferma che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.

Accadeva spesso che un finanziamento risultasse sotto la soglia di usura, se calcolato senza la CMS, e sopra la soglia di usura (facendo quindi scattare il reato) se calcolato con la CMS.

Dal 2010

Nel nuovo millennio, i Tribunali hanno iniziato a dare ragione agli imprenditori, contro le banche, fino a quando anche la Cassazione ha affermato che una interpretazione (errata) della Banca d’Italia non può avere più forza di una legge ordinaria. Non senza imbarazzo, la Banca d’Italia ha dovuto inchinarsi alla Cassazione e nel 2009 (ad agosto, guarda caso) ha emanato una circolare che indicava alle banche di segnalare i tassi medi da essi praticati INCLUDENDO la commissione di massimo scoperto.

Da allora (o per meglio dire dal 2010, quando il sistema è andato a regime) è pacifico che i tassi medi di raffronto comprendono la CMS e anche i calcoli dei singoli finanziamenti devono essere effettuati assimilando la CMS agli interessi. Nel frattempo la CMS è stata abolita per legge e poi reintrodotta come “commissione onnicomprensiva” (che è paradossalmente più alta della vecchia CMS!), ma questo qui è irrilevante.

Rimaneva aperto un problema: come calcolare il tasso effettivo praticato su aperture di credito in conto corrente PRIMA del 2010? Chi diceva CON la CMS, chi diceva SENZA la CMS.

A Torino c’è un Giudice civile che argomenta in modo (a me sembra) molto intelligente il perchè occorre inserire la CMS anche nei trimestri anteriori al 2010. Viene invitato a parlare in convegni specialistici in tutta Italia.

Anche la Procura della Repubblica di Torino ha dovuto prendere posizione su questo tema, quando ha pubblicato le linee guida a cui chiedeva ai suoi consulenti tecnici di uniformarsi. Spero di poter tornare su questo argomento, perchè avrei qualcosa di personale da aggiungere.

Ora le Sezioni Unite chiariscono definitivamente il problema.

Ne riparleremo.

Articolo Eutekne: https://www.eutekne.info/Sezioni/Art_680696.aspx

Contratti derivati e usura

Contratti derivati e usura: che collegamenti ci sono?

I contratti derivati sono scommesse. In quanto tali, non implicano un finanziamento né ha senso logico ipotizzare che essi possano generare un’usura. In passato, però, si è spesso verificato il caso che il cliente si lamentasse con la sua banca di avergli venduto un contratto presentato come una sorta di assicurazione (per esempio contro il rialzo dei tassi di interesse), mentre invece esso si era rivelato una disastrosa fonte di perdite.

La Banca

Per calmare questi clienti, la banca (in realtà solo alcune banche specifiche) proponeva al cliente di chiudere il vecchio contratto e di stipularne uno nuovo, asseritamente più adatto alle sue esigenze. La banca minimizzava il fatto che il nuovo contratto era molto più svantaggioso del vecchio, così tanto svantaggioso che la banca indennizzava anticipatamente il suo cliente con un premio in denaro chiamato “up-front”. Questo up-front veniva dato dalla banca al cliente, ma veniva contemporaneamente trattenuto dalla banca, per indennizzarsi della chiusura anticipata del precedente contratto.

Il cliente non riusciva a comprendere questo avanti-indietro sul suo conto corrente e cadeva così dalla padella alla brace.

Una delle teorie che ho elaborato – grazie al suggerimento di un noto avvocato – è quella di ipotizzare che l’up-front sia un finanziamento e che i successivi pagamenti del cliente siano il rendimento di questo finanziamento.

Il calcolo

Spesso, il calcolo indica rendimenti a tassi usurari. È una teoria ambiziosa, perché la banca sicuramente risponderà che ciò che io considero rendimento, in realtà è un’alea. Non è così, perché anche quell’alea è quotata sulle Borse di Londra e Chicago e quindi la banca sa in anticipo quanto andrà a guadagnare e volendo può subito monetizzare il suo guadagno, cedendo il rischio in Borsa.

Non è importante il nome che la banca attribuisce al contratto, ma la sua essenza – che per la banca è quella di sborsare denaro per riaverne di più successivamente.

Per ora non ho esperienza diretta di sentenze a favore della mia tesi, ma solo di transazioni a saldo e stralcio, molto favorevoli per i miei clienti. Ho pubblicato su questo sito un mio lavoro su questo tema:

Consulenza tecnica contabile di parte su usura e derivati  

(La pubblicazione è situata in area riservata. Se non hai la password clicca qui)

Usura bancaria: seminario in materia bancaria e finanziaria

L’usura bancaria e i suoi riflessi penali.

L’associazione “Giovani avvocati” e l’associazione “Giovani commercialisti” di Torino hanno organizzato un ciclo di conferenze in materia bancaria e finanziaria.
Nell’ambito delle quattro conferenze dedicate all’usura bancaria ed ai suoi riflessi penali, il dott. Paolo Rivella è stato invitato a trattare l’attività del Consulente Tecnico (CT) in questo campo.
Icona doc PDF

 

A questo link sono disponibili le diapositive presentate durante il suo intervento.

 

 

L’usura nei contratti di mutuo

Ma nei contratti di mutuo può verificarsi il reato di usura da parte delle banche?

Quando pensiamo ai “poteri forti”, vengono subito in mente le banche.

Ma ultimamente, nonostante questa “forza”, il sistema bancario italiano sta incassando una serie di sconfitte giudiziarie molto gravi, che aprono la porta a una grande massa di richieste di risarcimento. Dopo una serie di pronunce favorevoli ai correntisti bancari (vedi Anatocismo, boom di ricorsi, nuove imprese) all’inizio del 2013 la Corte di Cassazione si è interessata ai contratti di mutuo ipotecario, che riguardano milioni di privati cittadini.

La sentenza n.350 – 9 gennaio 2013

Con la sentenza n. 350 del 9 gennaio 2013 la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della Legge sull’Usura, il conteggio degli interessi effettivi pattuiti tra banca e mutuatario deve comprendere gli interessi di mora anche se poi questi non vengono applicati, tipicamente perché il cliente paga puntualmente le rate. Questo sulla base del testo letterale della Legge, secondo cui: “… si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento“.

Aggiungendo al tasso ordinario anche il tasso di mora, quasi tutti i contratti di mutuo finiscono di superare il tasso soglia dell’usura, addirittura già al momento della stipula del contratto.

Questo significa che – una volta accertata la natura usuraria del mutuo – il mutuatario avrebbe diritto di ottenere la restituzione di tutti gli interessi pagati in passato. E non solo: in teoria potrebbe continuare a restituire a rate il capitale alla banca, senza più pagare interessi. Se il contratto di mutuo usurario diventa nullo, non è escluso che il contraente possa ottenere – a suo favore – gli interessi sugli interessi non dovuti pagati in passato e forse anche la restituzione delle spese iniziali di erogazione versate.

Per il sistema bancario, sarebbe una rovina.

È difficile credere che davvero si offra questa possibilità a così tanti mutuatari e per importi singoli così elevati.

Il video “Le Iene”

Una conferma indiretta viene da un video. Si tratta di un documento sorprendente: “Le Iene” entrano nella torre d’avorio della Banca d’Italia.

È raro vedere un direttore centrale della banca rispondere in dettaglio alle domande di un giornalista non specializzato. È ancora più raro vedere cosa succede al minuto 8 e 30 secondi: l’intervista viene forzatamente terminata per non entrare nel merito di cosa succede quando il mutuo viene riconosciuto usurario. Il direttore centrale della Banca d’Italia inizialmente dice che la banca deve restituire solo gli interessi che superano il tasso usurario. Il giornalista gli mostra documenti che indicano il contrario: la banca deve restituire tutti gli interessi. A questo punto l’intervista viene interrotta dall’addetto stampa.

Onore al merito: i miei complimenti al giornalista, che è riuscito a rendere comprensibile un argomento altrimenti riservato ai soli esperti e ha dimostrato quanto il problema sia grande e delicato per il sistema bancario.

Anatocismo, boom di ricorsi, nuove imprese

Cos’è l’anatocismo, quali sono le modifiche introdotte negli ultimi anni dalla Corte di Cassazione, e perché hanno prodotto uno sviluppo repentino e vivacissimo di una nuova linea di business per avvocati e commercialisti, con una chiara impronta “commerciale“.

Cos’è l’anatocismo?

Sono gli interessi sugli interessi, in teoria vietati dalla legge italiana, ma in pratica ammessi nel settore più rilevante, ovvero quello del credito bancario.

Un po’ di storia

Fino al 1999, i Tribunali davano ragione alle banche, quando i clienti provavano a lamentare che ogni trimestre gli interessi passivi del conto corrente venivano sommati al capitale dovuto e finivano così per generare interessi su interessi.
Nel 1999, la Corte di Cassazione cambia opinione, scatenando un piccolo terremoto.

Posizione del Governo

Il Governo, per venire incontro alle banche, approva una modifica del Testo Unico Bancario (il cosiddetto TUB) che esplicitamente prevede la possibilità dell’anatocismo bancario, purché la capitalizzazione degli interessi avvenga con uguale periodicità a favore e sfavore del cliente.
Per questo motivo dal 2000 le banche riconoscono gli interessi attivi sul conto corrente ogni trimestre e non più annualmente.
Rimase invece irrisolto il problema dei conti correnti aperti prima del 2000, che per decenni avevano subìto l’addebito di interessi ogni trimestre e avevano ricevuto gli interessi attivi ogni anno.
Il Governo ha tentato due volte di introdurre una sanatoria per l’anatocismo ante aprile 2000. Entrambi i provvedimenti sono però stati eliminati dalla Corte Costituzionale, la seconda volta nell’aprile 2012.

Anatocismo e soglie d’usura

Le banche hanno anche un altro problema nei confronti dell’anatocismo: le soglie d’usura. Se si depura il saldo del conto dagli interessi sugli interessi, l’importo degli interessi che la banca ha addebitato sul conto diventa – in percentuale di un capitale che si riduce – più rilevante. Può succedere che la percentuale superi la soglia d’usura; in questo caso per la banca sono guai.
Si moltiplicano i casi in cui funzionari vengono condannati per prestiti usurai che essi hanno deliberato a nome della loro banca.

Diritti del correntista

Il problema dei conti correnti aperti prima del 2000 è stato affrontato anche da una nuova importante sentenza del 2010 – a favore dei correntisti – della Corte di Cassazione (a Sezioni Unite e quindi compatta). La Corte ha stabilito che il diritto di chiedere alle banche la restituzione degli interessi sugli interessi (un diritto che si prescrive in dieci anni) non parte dal momento in cui sono stati addebitati gli interessi illeciti, ma dal momento in cui il conto corrente viene chiuso.
In definitiva, i titolari di ogni conto corrente bancario aperto prima del 20 aprile 2000 e ancora aperto, o chiuso da meno di dieci anni, hanno il diritto di chiedere alla banca la restituzione dell’importo derivante dall’anatocismo.

Fare ricorso: sì o no?

Chi era “in rosso” dieci e più anni fa, spesso continua ad essere “in rosso”. Questi soggetti temono che, chiedendo la restituzione degli interessi usurari, gli venga revocato il fido per ritorsione.
È un rischio da valutare, ma ci sono casi in cui il ricorso può essere efficace:

  • se ci sono i requisiti, si raggiunge una transazione con la banca senza il bisogno di intraprendere un’azione legale;
  • se il richiedente ha cambiato banca, chiedere il rimborso alla vecchia banca non presenta particolari rischi;
  • se il cliente della banca ha già ricevuto la revoca del fido e non è in grado di rientrare, può chiedere il rimborso alla banca non per ricevere denaro, ma per pagarne di meno a saldo e stralcio. Questo è il caso in cui il cliente “vince” più facilmente: la banca si toglie due problemi con una sola transazione.

Un nuovo settore economico a cavallo tra impresa e libera professione

Intraprendere un’azione nei confronti di una banca richiede necessariamente un ausilio tecnico.
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale dell’aprile 2012, questi tecnici sono partiti a caccia di clienti vittime dell’anatocismo.
Non si tratta, però, più solo di commercialisti e/o avvocati – così come sarebbe avvenuto fino a pochi anni fa – ma di vere e proprie organizzazioni commerciali, che ingaggiano agenti di commercio per un’azione di “marketing” più aggressiva e che si organizzano al loro interno con procedure di lavoro parcellizzato tipico di un’impresa e non di uno studio professionale.
Sta cadendo quella barriera tra impresa e libera professione, che in Italia era innata da secoli a livello sociale oltre che legale. Da una parte, le imprese hanno sempre meno vincoli ad aggredire le tradizionali aree di clientela dei professionisti; dall’altra i professionisti non sono più vincolati come un tempo dagli ordini professionali. Prova ne sia che – nel caso dell’anatocismo – molti avvocati e commercialisti lavorano all’interno delle organizzazioni commerciali specializzate che sono nate.

Quanto costa agire contro una banca?

Gli onorari per questi servizi possono comprendere un compenso fisso predeterminato più una percentuale sul risultato, oppure la sola percentuale sul risultato (spesso, in questi casi, il lavoro di organizzazione dei documenti è a carico del cliente).
Quando la consulenza era legalmente riservata ai liberi professionisti (avvocati e/o commercialisti) il cliente non poteva pagare in percentuale del risultato, ma solo secondo le tariffe professionali. Quando perdeva, il cliente si ritrovava più povero di prima. Ora invece, al massimo avrà perso tempo (più il compenso fisso, che però non è universale).
La riduzione del rischio economico spinge un certo numero di incerti ad agire contro la loro banca e a ingrandire così l’ondata delle istanze di rimborso (e di azioni legali) che si sta abbattendo sulle banche.

Conclusione

Le banche non stanno certo vivendo un momento di popolarità a livello sociale. Il fiorire di attività volte ad affrontare il tema dell’anatocismo è una delle tante conseguenze.
Vedremo se il governo tenterà per la terza volta di emanare una sanatoria a favore delle banche. L’ultima volta, è stato battuto per un difetto tecnico della legge e non per un motivo di sostanza.
Nel frattempo si è creato un nuovo settore economico dove avvocati, commercialisti e molti altri professionisti stanno lavorando intensamente.

Link di riferimento:

Per conoscere lo stato della giurisprudenza sull’anatocismo, consiglio questi due articoli, ammirabili al tempo stesso per la chiarezza e per la completezza:

 

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