Risvolti penali dell’insolvenza
Inizio ottobre. Convegno dell’Unione Giovani Commercialisti di Torino. Prende la parola un PM di lunga esperienza, recentemente diventato Aggiunto nella Procura di un’importante città piemontese.
Per far capire quanto potere la Legge lascia a chi deve reprimere i reati fallimentari, fa un esempio illuminante, che io sinetizzo come segue.
Nelle democrazie liberali, come la nostra, un principio è sacrosanto: è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato.
Ciononostatnte, nella repressione dei reati fallimentari il principio è smentito dall’art. 324 del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, che si intitola “Esenzioni dai reati di bancarotta“.
Ecco dunque che viene indirettamente ammesso che per i reati fallimentari vale un diverso principio: di fatto è vietato tutto ciò che non è espressamente ammesso.
Quanto aggiungo io è che la repressione penale del fallimento (ops, della liquidazione giudiziale) è severissima e finisce di rattare allo stesso modo veri delinquenti e imprenditori in buona fede, che in circostanze per loro nuove hanno fatto ciò che dettava il buon senso e/o la disperazione.
Per esempio, un imprenditore che abbia posto a carico dell’impressa sue spese personali (che so, un viaggio, un elettrodomestico di casa) e che poi sia dichiarato insolvente, può venire accusato di bancarotta fraudolenta anche se il fatto risale a molto tempo prima del fallimento e anche se ai tempi l’impresa era sana.
Altro esempio: fuori dall’insolvenza, il reato di falso in bilancio viene contestato molto più raramente di un tempo, Se però il falso viene commesso da una società che poi viene dichiarata insolvente, ecco che il falso può tramutarsi in un’accusa di bancarotta fraudolenta. A passare al setaccio i vecchi bilanci (senza limita alla retroattività), ci pensa il il Curatore.
Sul mio sito pubblico otto video su altrettsnte voci di bilancio che spesso il Curatore contesta agli ex amministratori della società fallita.