Il rischio di comprare da un evasore Iva
“Chi compra il pane ed esce dalla panetteria con lo scontrino, certo non si preoccupa se il panettiere verserà o meno l’Iva che è appena stata pagata“.
Così avevo scritto in una mia pubblicazione (qui). La cosa ha colpito una PM, che doveva decidere se rinviare a giudizio una imprenditrice che quasi inconsapevolmente e con un tornaconto minimo era finita a fare da “filtro” in un carosello Iva più raffinato del solito.
Nei primi decenni di esistenza dell’imposta sul valore aggiunto, l’imprenditore poteva sostanzialmente comportarsi come il privato dell’esempio iniziale: l’importante era essere in regola nel perimetro che ricade espressamente sotto la propria responsabilità. Quello che succedeva “prima” o “dopo” era un problema degli altri imprenditori.
Con l’arrivo dei “caroselli Iva”, gli inquirenti hanno iniziato ad essere sospettosi anche di chi compra e detrae l’Iva in maniera formalmente corretta. Il “carosello Iva”, infatti (la descrizione è qui) trasferisce sull’acquirente il vantaggio del mancato versamento da parte della “cartiera”. La “cartiera” fa da capro espiatorio ed è destinata al fallimento sin dall’inizio dell’operazione. L’acquirente fa finta di comprare in buona fede, ma intasca il provento della frode.
Se non che, c’è anche chi compra in buona fede. Farsi allettare dal prezzo basso non vuole sempre dire essere in combutta con una “cartiera”.
Di qui il rischio di vedersi contestata la partecipazione ad un “carosello Iva”, quando si è solo approfittato di un prezzo basso.
Credo che la PM che aveva chiacchierato con me, in una consulenza tecnica istantanea (e gratuita, purtroppo), alla fine abbia rinviato a giudizio l’imprenditrice “filtro”. Quasi sempre si presume che l’imprenditore debba essere più attento ed esperto del normale acquirente di pane.
Però dall’accusa ci si può anche difendere. Per leggere un esempio di un processo in cui si trattava di questo tema e che si è concluso con la vittoria dell’imprenditore accusato, potete seguire questo link.