Controllo di gestione - Magazzino mina vagante fuori controllo

Controllo di gestione obbligatorio: che fare? (14)

IL MAGAZZINO, MINA VAGANTE FUORI DAL RADAR CONTABILE

Il terzo ed ultimo suggerimento MINIMO, per chi vuole adeguare il suo assetto organizzativo impiegando poco denaro e poco tempo, consiste nell’istituire la contabilità di magazzino.

Rispetto ai due suggerimenti precedenti, mettere sotto controllo il magazzino è più complicato e costoso.

In cambio, però, il controllo del magazzino non serve solo per rilevare più tempestivamente l’eventuale crisi dell’impresa, ma quasi sempre porta anche immediati benefici in termini di liquidità: viene immobilizzato meno capitale – visto che di per sé le rimanenze non fruttano alcunchè ed anzi possono venire danneggiate, venire rubate o diventare obsolete. In periodi di deflazione, possono anche perdere di valore, pur rimanendo tecnicamente utili.

Dal punto di vista del controllo di gestione.

Dal punto di vista del controllo di gestione, occorre richiamare il fatto che il sistema contabile utilizzato in Italia per redigere il Conto Economico (sistema che viene detto a “costi ricavi e rimanenze“) non permette neppure di conoscere il risultato netto che è stato raggiunto da inizio anno.

Nei bilanci di verifica che si stampano in corso d’anno, infatti, manca un dato fondamentale: le vere rimanenze di magazzino.

Chi non ha istituito la contabilità di magazzino, convenzionalmente inserisce nei bilanci di verifica le giacenze al 31 dicembre precedente – quando i pezzi presenti in magazzino erano stati contati fisicamente e poi “prezzati” con una serie di calcoli altrettanto scomodi.

Nel frattempo, però, le rimanenze possono essersi modificate anche significativamente, rispetto al 31 dicembre precedente.

Questa variazione impatta direttamente sul risultato d’esercizio, ma nel bilancio di verifica non si vede. La si vedrà il 31 dicembre prossimo venturo – quando sarà tardi per intervenire. O peggio, la si vedrà a tra febbraio e marzo dell’anno dopo, quando il bilancio si avvicinerà ad essere definitivo.

E dunque, il nuovo articolo 2086 del Codice Civile richiede un assetto organizzativo amministrativo e contabile che rilevi tempestivamente l’eventuale crisi d’impresa.

Chi conosce i costi fissi e variabili della propria impresa riesce addirittura a fare previsioni future, anche se di breve periodo. [Chi volesse fare previsioni più a lungo termine e più affidabili, dovrebbe istituire un vero e proprio budget mensile dei costi e dei ricavi, di cui non parlo perché fa parte delle modifiche utili ma complesse].

Chi invece si limita alla contabilità tradizionale, a “costi ricavi e rimanenze”, non riesce neppure a sapere con precisione cosa È GIÀ SUCCESSO dall’inizio dell’anno!

È chiaro che in questo caso siamo molto lontani dal rilevare tempestivamente l’eventuale crisi.

Dal punto di vista del risparmio finanziario

Come privati cittadini, siamo più sereni se il serbatoio dell’auto è pieno.

Gli imprenditori hanno gli stessi motivi di prudenza del privato cittadino – per mantenere un magazzino sufficientemente elevato da garantire la produzione e le vendite anche in caso di temporanee interruzioni degli approvvigionamenti o picchi di richieste da parte dei clienti.

L’imprenditore, però, usa capitali in buona parte di altri (in primis banche e fornitori) e su questi finanziamenti deve normalmente pagare un costo, esplicito o occulto che sia.

Ecco allora che, se l’imprenditore impara a sopravvivere con meno scorte in magazzino, può risparmiare più di quanto non sembri.

La grande distribuzione “batte” sul prezzo i piccoli negozi proprio grazie ad un peso del magazzino enormemente più basso.

Gli ipermercati ricevono camionate di merce ogni giorno, ma poi la vendono nel giro di ore o al massimo di giorni. Per mantenere l’assortimento, i piccoli negozi devono tenere in magazzino l’equivalente magari di un mese di vendite. Spesso, gli ipermercati riescono a tramutare la merce in denaro molti giorni prima di quando la pagheranno al fornitore. In questi casi, più l’ipermercato vende, più si crea una disponibilità finanziaria – temporanea ma che si rinnova costantemente e quindi frutta un interesse. Per il piccolo negozio, invece, è il contrario: per aumentare le vendite deve “congelare” nel magazzino quantità crescenti di denaro.

Nel campo della produzione di beni, i Giapponesi hanno insegnato al resto del mondo i principi e i vantaggi della “lean production“, che è un concetto ricco di sfaccettature, ma che nella sostanza consiste nell’organizzare la logistica come un orologio svizzero.

Studiando i problemi, si può arrivare quasi ad eliminare gli imprevisti e anomalie. A quel punto si può (quasi) eliminare il magazzino. Nelle imprese di produzione più perfezionate, i fornitori entrano in stabilimento e portano i loro prodotti direttamente a fianco della linea di produzione, dove saranno utilizzati in poche ore.

Quando i magazzini erano enormi e le merci potevano viaggiare più lentamente, la ferrovia era un sistema di trasporto valido.

Con magazzini più piccoli, dove le merci ruotano più rapidamente, è aumentato il trasporto su autotreni, che è più costoso ma più rapido. I risparmi sul magazzino giustificano il maggior costo di trasporto.

Ai tempi del crollo del ponte Morandi, abbiamo tutti sentito le statistiche sull’aumento di peso che sopportano le autostrade. I grandi magazzini di una volta si sono in parte trasferiti sui magazzini mobili costituiti dai camion.

Far dimagrire il magazzino porta a tali risparmi, che diventa conveniente addirittura utilizzare i furgoni. Una casa automobilistica asiatica che venda in Europa, per esempio, un tempo avrebbe istituito uno o più magazzini per i pezzi di ricambio in ogni paese europeo. Oggi costruisce, per esempio, un centro super-efficiente a Rotterdam e poi fa viaggiare i pezzi in aereo o su camion. I risparmi sono tali, che ogni tanto può permettersi di far viaggiare tutta la notte un furgone con un pezzo solo, per attraversare l’Europa e rimediare ad un’emergenza.

Come si realizza in pratica

Il codice a barre (ovviamente abbinato a programmi informatici) è stato lo strumento di maggior rilevanza, per permettere di tenere sotto controllo il magazzino.

Qualche decina di anni fa era uno strumento molto costoso, che potevano permettersi in pochi. Oggi è diventato una “commodity“, ovvero un bene che si vende a poco più del costo.

La compartimentalizzazione fisica del/dei magazzini può sembrare un tema accessorio, ma non lo è. Senza di essa, in caso di fretta (e oggi si è SEMPRE di fretta) si pesca dal magazzino rinviando a dopo la contabilizzazione. Che poi non avviene.

Le aziende più grandi hanno già integrato la gestione del magazzino con l’attività amministrativa. Per loro, la fattura elettronica è stata un problema relativo, perché già imponevano ai loro fornitori fatturazioni informatiche, che permettessero di gestire in automatico i carichi di magazzino, oltre che le operazioni della contabilità generale.

Ovviamente, tutto ciò vale per chi è costretto a dover “far girare” molti beni fisici.

Una crescente quota di settori economici tratta beni immateriali o servizi.

Per questi, istituire una contabilità di magazzino non porta risparmi e serve anche relativamente a poco, per rilevare tempestivamente la crisi.

E’ in preparazione un video, dove parlo di alcuni di questi argomenti. Sarà pubblicato sul mio sito. Si intitolerà “Magazzino e contabilità”.

Questo articolo conclude questa serie sulle misure minime per rilevare tempestivamente l’eventuale crisi d’impresa.

Grazie dell’attenzione.

Torino, 5 aprile 2019.