Controllo di gestione - Lavori su commessa sottocosto: perchè?

Controllo di gestione obbligatorio: che fare? (12)

LAVORI SOTTOCOSTO SU COMMESSA: PERCHE’?

Dagli anni ’60 agli anni ’80 (con una sola frenata nel 1974) l’Italia ha vissuto una stagione economica quale quella della Cina di oggi: redditi in spettacolare aumento, migrazioni interne mai viste prima, inquinamento.

Quasi tutti gli Italiani hanno guadagnato qualcosa. Qualcuno ha guadagnato molto più di altri. Tra questi ultimi, ci sono gli imprenditori del settore dell’impiantistica.

L’aumento dei consumi trascina con sé l’aumento della richiesta di beni strumentali (fabbriche). Se è tutta l’economia che sale, allora non bastano le fabbriche, ma ci vogliono anche palazzi, strade, aerei, edifici, ponti, linee elettriche e impianti telefonici.

I beni strumentali durano a lungo nel tempo e costano molto più del valore di quanto annualmente producono.

Questo fa sì che per aumentare di “x %” la produzione di beni di consumo, occorra temporaneamente aumentare la costruzione di beni strumentali di molto più dell’ “x %”.

Gli economisti chiamano questo fenomeno il “moltiplicatore”.

A partire dagli anni ’60, in Italia il “moltiplicatore” ha viaggiato come un treno.

Costruivamo dighe in Argentina e porti in Iran; fabbriche di auto in Unione Sovietica e piattaforme petrolifere marine ovunque. E poi il mercato interno: gli impianti petrolchimici sono iniziati a Marghera e Ravenna, ma poi hanno costellato la costa siciliana. I 760 km dell’Autostrada del Sole sono stati costruiti in poco più di 3.000 giorni, un chilometro ogni 4 giorni – nonostante i ponti e le gallerie dell’attraversamento appenninico e nonostante che i partiti dell’opposizione fossero contrari al progetto. Cornigliano prima e il polo siderurgico di Taranto, dopo, erano acciaierie che reggevano qualunque concorrenza (e allora, in Europa, l’acciaio era una cosa seria: l’attuale Unione è nata proprio dalla Comunità del Carbone e dell’Acciaio).

E poi lo spostamento di popolazione: dal Sud verso il Nord, ma anche dalla montagna e dell’interno verso la pianura e verso la costa. Le città meridionali di mare sono cresciute quasi quanto le città industriali del Nord. Le abitazioni dei borghi impervi venivano abbandonate, ma nei nuovi quartieri delle città in crescita mancavano case, scuole, strade, fognature, illuminazione e linee telefoniche.

Tutte cose che vengono fornite dalle imprese che lavorano su commessa. La richiesta di lavori fatti in fretta e (se possibile) bene era tale che non si badava a spese. I margini di guadagno erano enormi e anche le retribuzioni dei dipendenti erano più alte della media. Un saldatore capace di cavarsela da solo in trasferta, o un capocantiere, o un montatore meccanico venivano contesi con rilanci di centinaia di migliaia di Lire al mese (al tempo ci compravi un motorino).

Chi ha letto “La chiave a Stella” di Primo Levi conosce il clima economico e sociale che si viveva allora.

All’inizio, il settore dei lavori su commessa era dominato dalle grandi imprese. Dopo l’aumento del costo del lavoro dei primi anni ’70, sono arrivate a frotte imprese sempre più piccole – fino al muratore o al saldatore che si licenziavano e prendevano la partita Iva come artigiani. Nessun settore, più dei lavori su commessa, permetteva una tale mobilità sociale: da “proletario” a “capitalista” in cinque / dieci anni.

Tutto questo, per dire che il settore dei lavori su commessa è arrivato pingue e “viziato” all’appuntamento con il calo dei tassi di crescita.

È allora (intorno agli anni ’90) che il settore ha escogitato un meccanismo subdolo ma efficace, per sopravvivere a fronte della pressione al ribasso delle basi d’asta.

I lavori venivano deliberatamente assunti a prezzi bassi – sempre più bassi, mano a mano che il tempo passava. Dove non bastava l’accordo spartitorio, per tenere lontano un concorrente dalla propria “riserva di caccia” si poteva anche assumere l’impegno di lavorare sottocosto.

Al cliente finale veniva detto che si era più efficienti del concorrente, ma la verità era un’altra.

Le verità era che si puntava a recuperare la perdita (con gli interessi), in sede di VARIANTI IN CORSO D’OPERA.

Se la progettazione non era più che perfetta, nel corso dei lavori il cliente si accorgeva di aver bisogno di qualche modifica. A quel punto, però, il cliente non poteva più scegliere: poteva solo rivolgersi alla ditta che già stava eseguendo i lavori.

Chi ha comprato un alloggio “sulla carta” e ha poi provato a chiedere una modifica o un cambio di finiture rispetto al capitolato, sa di cosa parlo. Meno costa l’alloggio, più sono astronomici i costi della varianti richieste successivamente.

È come chiedere il prezzo dopo aver comprato: si è in balia del venditore.

Anche l’impresa che lavora su commessa, però, corre un rischio. Il lavoro di base, a margini risicati o negativi, è una certezza. La variante in corso d’opera, remunerativa, è invece solo una speranza.

Questo “trucco” ha reso molto per decenni, ma ora anch’esso è superato.

I committenti – pubblici e privati – hanno imparato il gioco e ora non si fanno più ingannare.

Come fanno? Progettano meglio e poi soprattutto frazionano i lavori in appalti più piccoli (e più facili di controllare), che si incastrano l’uno nell’altro ma che sono giuridicamente autonomi. In caso di problemi, il committente non deve più ricominciare da zero (che era l’aspetto improponibile del vecchio sistema), ma ci si può raccordare all’ultimo segmento di lavoro che è stato completato.

Quelle imprese di lavori su commessa, che avevano esagerato con il sottocosto, giocando d’azzardo sulle varianti in corso d’opera, sono spesso fallite nell’ultimo decennio.

Tutto questo, richiamando il tema del controllo di gestione e dei costi fissi e dei costi variabili.

Il controllo di gestione obbligatorio farà emergere le situazioni, come quelle appena viste, in cui i ricavi che non coprono neppure i costi variabili. L’azzardo degli amministratori sarà messo a nudo e scatterà la loro responsabilità patrimoniale personale.

Da domani, torniamo agli altri miei “suggerimenti minimi” per rilevare tempestivamente la crisi.

 

Continua. Domani la tredicesima parte.